L'Italia dei secoli bui by Roberto Gervaso Indro Montanelli

L'Italia dei secoli bui by Roberto Gervaso Indro Montanelli

autore:Roberto Gervaso Indro Montanelli [Indro Montanelli, Roberto Gervaso]
La lingua: ita
Format: azw3, mobi
editore: BUR
pubblicato: 1967-07-14T23:00:00+00:00


CAPITOLO VENTISEIESIMO

FRA ROMA E BISANZIO

I Goti prima, i Longobardi poi sottrassero l’Italia all’Impero. Nella Penisola Bisanzio conservò a lungo un caposaldo: Ravenna, e un interlocutore: il Papa. A Ravenna risiedeva l’Esarca, ch’era diventato una specie di Viceré in esilio. Ufficialmente era il rappresentante dell’Imperatore ma, in pratica, non rappresentava che la sua impotenza. Era in relazione col Pontefice. Faceva la spola tra Ravenna, Roma e Costantinopoli. Riceveva ordini dal Basileus e li trasmetteva al Papa che regolarmente li trasgrediva.

Roma ribadiva la propria obbedienza a Bisanzio ma con accenti sempre più polemici. L’Impero d’Oriente aveva scatenato contro quello d’Occidente, di cui l’Urbe continuava a rivendicare il titolo di capitale morale, l’alluvione gotica e non aveva saputo arginare quella longobarda. I rapporti del Papa col Patriarca di Costantinopoli erano tesi. Il secondo non riconosceva la supremazia del primo e reclamava per sé un primato che i grandi Concili ecumenici gli avevano rifiutato. Era fatale che il cordone ombelicale che univa Roma a Bisanzio finisse col lacerarsi. Due eventi precipitarono la crisi: l’editto contro le dispute religiose – o Tipo – e quello contro il culto delle immagini – o Iconoclasmo.

Il Tipo fu bandito nel 648 dall’imperatore Costante II. Era un uomo scettico, prepotente e bizzarro. Gli piaceva comandare. Non andava mai in chiesa e detestava i monaci che infestavano l’Impero e lo corrompevano. Solo a Bisanzio ce n’erano circa diecimila. Vivevano di elemosine e custodivano nei conventi le reliquie dei Santi e dei Martiri che il popolino credulone venerava come talismani miracolosi. Erano rissosi, intriganti e depravati. Fomentavano disordini e ordivano congiure. Erano ricevuti a Corte con tutti gli onori, soprattutto dalle Imperatrici di cui talvolta erano i confessori e spesso gli amanti. Il Basileus li proteggeva e il Patriarca li temeva. Col Tipo Costante s’illuse di restituirli alla cura delle anime e di porre fine alle interminabili diatribe che essi scatenavano e che avevano finito col contagiare anche il Clero secolare. Il Tipo conteneva le sanzioni contro coloro che non si fossero uniformati. Il trasgressore, se Vescovo, veniva deposto; se laico, licenziato in tronco; se nobile, punito con la confisca di tutti i beni, che lo Stato incamerava. Il Patriarca ratificò il decreto e lo rese esecutivo.

In Italia esso scatenò tuoni e fulmini. Il papa Martino convocò in Laterano un Concilio di duecento Vescovi che scomunicò il Patriarca. Non osò scomunicare Costante, ma con quel gesto ne sottintese la condanna. Risoluto a imporre il Tipo anche in Italia, l’Imperatore ordinò all’Esarca Olimpio di recarsi a Roma e di assassinare il Pontefice. Olimpio partì con una piccola scorta di soldati. I Romani l’accolsero con ostilità. Il sicario incaricato di pugnalare Martino mentre sull’altare della basilica di Santa Maria Maggiore celebrava la messa, nell’atto di colpire il Papa, fu accecato. Così almeno riferiscono le fonti ecclesiastiche che hanno sempre costruito la storia sui miracoli. Olimpio lasciò Roma e partì per la Sicilia dove, alcuni anni dopo, morì combattendo contro i Saraceni.

Nel giugno del 653 Costante affidò al nuovo Esarca Calliopa la stessa missione in cui era fallito il suo predecessore.



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